
Non si conosciamo i dati che riguardano le vendite delle
acque in bottiglia il giorno dopo del no europeo a ulteriori deroghe per l’Italia per aver sforato i limiti consentivi di arsenico nell'acqua per 128 Comuni.Al momento l’unico dato emerso è che nessun “effetto
arsenico” sarebbe finora riscontrabile sulle vendite dei dispositivi da rubinetto per la depurazione delle acque. Secondo il segretario generale dell’Adiconsum, Paolo Landi, “se l’allarmismo è stato particolarmente limitato è perché ormai gran parte dei cittadini acquistano l’
acqua minerale“. “All’inizio ci speravamo ma fino a questo momento non abbiamo avuto aumenti di richieste – assicura il titolare di un’azienda che vende
sistemi di
depurazione per i rubinetti – Molti cittadini non sanno che spesso nelle
bottiglied’
acqua minerale la concentrazione di
arsenico è superiore all’acqua del
rubinetto“. Ma quanto costa un macchinario per depurare l’acqua? I prezzi sono variabili: si parte da un minimo di 500 ai 4-5mila euro circa. Quella adatta a eliminare l’arsenico costa circa 3mila euro”. L’Italia è il maggior consumatore al mondo di acqua minerale. Ogni anno se ne consumano circa 12 miliardi di litri, vale a dire circa 200 litri pro capite. E un italiano su due beve solo
acqua imbottigliata che, sempre uno su due, considera più pura dell’
acqua del rubinetto; uno su tre la reputa migliore al gusto, uno su sei dice che è “meno dura”. Ma non tutti sanno che tra gli elementi presenti in tracce nelle
acque mineraliitaliane ci sono
arsenico, uranio, alluminio, berillio, fluoro e altre
sostanze potenzialmente
nocive. E soprattutto che i limiti per la presenza di queste
sostanze sono più alti nelle
acque minerali che in quelle potabili. In alcuni casi sono addirittura inesistenti. A dissipare l’idea che le
acque minerali in bottiglia possano essere un buon rifugio di fronte ad
acque di rubinetto distribuite da comuni che faticano ad allinearsi ai parametri di
sicurezza imposti dall’Europa ci pensa un articolo pubblicato sul numero di maggio della rivista “Le Scienze”, firmato da sette scienziati delle Università di Napoli, del Sannio, di Bologna e di Cagliari, e che riassume i risultati italiani di una ricerca europea sulla qualità delle
acque minerali imbottigliate. Le conclusioni dell’articolo non sono apocalittiche, e salvano in linea di massima le acque in commercio, ma con la precisazione che in alcuni casi la presenza di
elementi nocivi supera valori limite e linee guida, e che in tutte le acque ci sono tracce di elementi che potrebbero essere
nocivi per la
salute. E a volte queste presenze sono elevate, ben al di sopra dei limiti imposti all’
acqua di casa, come nel caso dei berillio. In genere poi la presenza di tali
sostanze non viene riportata nelle etichette, dove generalmente, si leggono solo le concentrazioni dei principali elementi maggiori, come il calcio, il magnesio e il sodio. non crea alcun La presenza di molti
elementi nocivi, i cosiddetti “elementi di traccia” non dipende dall’intervento dell’uomo, ma è legata alla composizione delle
acque. Tra le
sostanze che beviamo nelle acque minerali c’è il famigerato
arsenico: benché tutte le
acque minerali analizzate nella ricerca non superino il valore limite di 10 microgrammi per litro, le acque di nove marche, nelle quali la concentrazione di
arsenico supera i 5 microgrammi per litro, dovrebbero essere costantemente monitorate, secondo i ricercatori, anche in considerazione del fatto che a livello internazionale si sta discutendo di abbassare il valore limite proprio a 5 microgrammi per litro. Sostanza meno nota è il berillio, per il quale in Italia esistono norme stringenti: se l’
acqua di una falda acquifera ne presenta una concentrazione che supera i 4 microgrammi per litro, per la legge italiana serve un intervento di bonifica delle
acque, anche quando non destinate al consumo umano. “Sorprendentemente – scrivono i ricercatori – sia in Italia sia in Europa non è stato stabilito alcun limite di concentrazione per il berillio nelle
acque destinate al consumo umano, e tanto meno per quelle
minerali“. E’ perciò solo un caso se le acque analizzate nella ricerca presentano valori bassi di questa sostanza, perché se dipendesse dalla legge potrebbe andare anche peggio.
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